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Gita di Primavera

Forse, per capire Ferrara, il modo migliore sarebbe quello di sfogliare la Bibbia di Borso; magari non l’originale, gelosamente custodito in teca blindata a Modena, ma anche solo una delle preziose riproduzioni di Bestetti o Panini: essa ci presenta, meglio di ogni biografo o agiografo, la maestà degli Este. Il manoscritto, miniato da uno stuolo di artisti guidati dal genio di Taddeo Crivelli, era finito in un’asta all’estero. Il senatore Treccani, quando 1000 lire al mese erano il traguardo di una vita, spese il corrispettivo di 5000 mesi per riportarla in Italia e farne munifico omaggio allo Stato.

I duri spuntoni lapidei del Palazzo dei Diamanti; l’addizione di Ercole (triplicare una città!) come assoluta perfezione urbanistica: visione fantastica, quasi surreale nei suoi spazi e nei suoi silenzi, percorsi dal fruscio delle biciclette; l’ombra di Bassani e dei suoi Finzi Contini, gli eroi sfortunati di uno tra i romanzi più belli di sempre. Una meditazione alla De Chirico, in scenari adatti ai suoi personaggi, immoti e pensosi.

Ferrara nasce come Roma nel 753, ma dopo Cristo, non prima di Cristo: minuscola e spavalda fortezza contro le orde delle tribù calate dal Nord con famelica ferocia. Gli Este nascono col nuovo millennio, trasferendo un castello posseduto nel borgo di Este; vengono a Ferrara e divengono agiati per un mancato matrimonio.

Sempre guelfi, sempre vicini al Papa, danno e ricevono protezione e si avviano a quattro secoli di luce sfolgorante. Ferrara è una gigantesca calamita intellettuale: Copernico, Pico, Paracelso, Falloppio, Dossi, Giambellino, Tiziano, Bembo, Baiardo; e l’Ariosto, che scrive l’Orlando in onore e in dedica al cardinale Ippolito. Gli Este visti come antichi paladini. Defensores fidei.

Le figlie di Ercole sono Beatrice e Isabella, incarnano le virtù della donna rinascimentale; la prima sposa Ludovico il Moro, la prematura morte le eviterà di vedere il declino e la fine di un’epoca; Isabella, divenuta Gonzaga, farà di Mantova una città di gloria. Ferrara si farà in disparte, alla dipartita degli Este nel Seicento, ma avrà accumulato tanta bellezza e tanta gloria da poterne vivere per secoli, come una nobile famiglia prudente e avveduta: mai decaduta, solo un po’ più appartata.

Particolari Nobili

  • Il ricordo del Presidente della tragedia di queste terre devastate dall’alluvione
  • Il martirio di Ciceruacchio e la tragedia di Anita Garibaldi
  • La Preghiera alla Vergine dal Canto XXXIII del Paradiso
  • Il canto di Paolo e Francesca in tenera memoria delle tante donne uccise, recitato da Chiara
  • La simpatia e la bravura delle guide e del battelliere del Delta

Nessuna città al mondo divenne per tre volte capitale di un impero, se non Ravenna. Aveva visto passare Cesare diretto al Rubicone e al suo destino di gloria insanguinata; aveva ospitato a Classe la Marina Adriatica dell’Impero di Augusto, 250 navi qui per l’est e 250 a Capo Miseno per l’ovest. Quando i barbari si fecero un pericolo costante, la capitale dell’Impero d’Occidente passò, con Onorio, da Mediolanum a Ravenna. Poi arriverà Re Teodorico, e infine gli esarchi bizantini.

Dal 400 al 700 Ravenna si ricoprì dei fastosi colori dei mosaici e dei marmi, mai nella storia si vide in una città la contemporanea costruzione di due basiliche così belle: erano davvero la dimora per un Dio, Sant’Apollinare in Classe e San Vitale. Raccontavano, con il loro splendore, il sogno di un impero di essere eterno, di proseguire sulla pagina della Storia sette secoli dopo Cesare: un sogno che si maschera d’oro per celare la debolezza e la paura della fine.

Poi i fiumi insabbiarono il porto, e il sogno svanì come nebbia sul mare: non bastarono i Pantocratori e le lunghe processione dei Santi lassù in alto a sfumarne il tramonto. E venne la notte, cupa e improvvisa.

Ravenna si riaccostò alla gloria ospitando Dante in vita e in morte; lui scrisse fra queste mura dal colore del sole il Paradiso, il suo grande ultimo dono all’umanità: quel Paradiso che i mosaici del primo millennio avevano tentato di rappresentare, quasi riuscendovi.

Un libro colmo, fatto di luce: come il mausoleo di Galla Placidia, un inno alla vita, non alla morte, simbolo di una città che non si è mai arresa alle ingiurie del Tempo e della Storia.

Particolari Fondamentali

  • I dieci kilometri a piedi nel sole della giornata di Ravenna
  • La discussione quasi metafisica sulla catalogna/bietole
  • Le fermate richieste dai due Sindaci a bordo, che si alternavano nello scacciare fantomatici lupi con i loro possenti getti d’acqua
  • I due pranzo/cena del terzo giorno: ci sarebbe voluta anche una merenda per arrivare a 000 calorie. Le abbiamo sfiorate
  • Il premio Morfeo d’oro
  • Il premio Prostata d’oro
  • L’esibizione canora di Albano travestito da Verdi (Enrico, come Caruso)
  • Gli orari di partenza enunciati dal Presidente: puntuali, ripetuti, Purtroppo, incompresi
  • La storia della Osteria della Zabariona, l’ostessa che preparò l’incontro di Garibaldi e Bixio, rumoreggiando senza imbarazzo alcuno

E ancora cercammo insieme il fascino segreto di Comacchio, i suoi tesori celati nell’intrico dei Tre Ponti; le sue suggestioni golose, di pesca e dei campi. E il Po del Mulino di Bacchelli, con i suoi eroi popolani, la grande civiltà contadina come esempio, ricordo e ammirato rimpianto. Il tempo fluisce come le calme correnti del Delta che riflettono cielo e nuvole. Ci seguono, nella lenta navigazione, gli echi di grandezze vertiginose, di artisti e di opere, evocate e incontrate, talora anche per caso, in questo nostro itinerare. Ci accompagneranno discreti durante il nostro tornare alle amate consuetudini.

Questo scritto vuole anche essere un inadeguato dono personale ad un grande presidente, di attiva e colta saggezza, giunto all’ultimo mese del suo illuminato dominio lionistico, in occasione del suo venire a rendere omaggio, insieme ai suoi soci, a questa terra di Romagna di grande storia e dolcezza, ora devastata da una Natura divenuta improvvisamente crudele. Possa la nostra rispettosa visita essere stata di una qualche utilità in questi giorni di tristezza per luoghi che sono, da sempre, il simbolo della sorridente accoglienza e della gioia di vita. Il nostro vagare fra storia, arte, natura, gastronomia, tutti valori esaltati da un clima di buona allegria e grande amicizia, suscita nello scrivente cronista un sentimento di gratitudine verso il presidente Butti. A lui un abbraccio ed un gridato urrà con assoluta convinzione.

Au revoir, les enfants. Al prossimo anno, e, intanto, un abbraccio da

Antonio

Lions Club Domodossola
Massimo Gianoglio addetto stampa
Info: 347 990 4294 – press@lionsdomodossola.it
Presidente Giorgio Butti